Le sfide dell'ottimizzazione della Supply Chain nel (Fresh) Food Retail

di Giuseppe Iacobellis - Project Manager e Senior Supply Chain Management (SCM) Consultant
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Il mercato del Retail: incertezze e nuove opportunità

Nell’ultimo periodo, il mercato della rivendita di alimentari sta osservando diversi processi di cambiamento, dimostrandosi particolarmente esposto ai fenomeni di massa. La pandemia globale, inoltre, ha acuito la l’incertezza delle previsioni, innescando una rivalutazione integrale dei processi tradizionali, messi a dura prova dalle nuove esigenze dei consumatori finali e dalle fluttuazioni di disponibilità dei prodotti presso i fornitori.
L’ormai consolidata Omnicanalità si è dovuta reinventare con modalità di evasione degli ordini sempre più personalizzate verso il cliente, rappresentando un rischio nel rapporto tra alti costi logistici e basse marginalità, soprattutto nel canale e-commerce, di contro sempre più imprescindibile. 

Un altro tema caldo è quello degli assortimenti di negozio, che iniziano ad accogliere prodotti che possano competere con la ristorazione (piatti pronti), ad alta marginalità ma anche ad elevato rischio di spreco. In aggiunta, è importante considerare negozi adibiti esclusivamente al soddisfacimento della domanda web (dark store), il cui comportamento a livello di fabbisogno e riordino assume caratteristiche peculiari.
Se si aggiungono anche i temi della sostenibilità, della ricerca di alimenti più freschi e sani e della capillarizzazione della rete vendita, con negozi di prossimità più contenuti in volume e focalizzati in assortimento, si inizia a delineare un quadro di importante complessità.

L’oscillazione tra Supply Chain efficiente tradizionale per i prodotti a lunga vita a scaffale e Supply Chain reattiva e agile per i prodotti freschi e freschissimi (demand sensing – eliminazione puntuale dei ritardi di risposta ai segnali variabili della catena di distribuzione), diventa quindi uno dei punti cruciali (disponibilità vs spreco) che i Retailer devono essere pronti ad affrontare, con delle organizzazioni interne più votate alla specializzazione delle figure, attraverso team specifici di pianificazione e riordino, armonizzando quindi le competenze IT con quelle business.

Demand Forecasting: il Machine Learning come abilitatore disruptive

Il vertiginoso aumento della quantità di dati disponibili e della relativa semplicità tecnologica della loro elaborazione, ha innescato la possibilità di affiancare i modelli di apprendimento automatico alle tradizionali tecniche di stima della domanda, basate su serie temporali. 
Un opportuno mix dei due approcci permette, in linea di principio, di mantenere il controllo sulla decomposizione della domanda e al tempo stesso di riuscire a intercettare fluttuazioni dovute a fattori di difficile valutazione, sia endogeni (e.g. campagne promozionali più o meno aggressive – demand shaping), che esogeni (e.g. meteo).
Chiaramente non esiste una ricetta infallibile sull’approccio corretto: la robustezza della previsione di vendita viene messa a dura prova in presenza di combinazioni prodotto-negozio con una bassa disponibilità di dati di storico, o ancora, potrebbe risultare preziosa per previsioni a breve termine, ma poco utile per forecast su un orizzonte futuro più lungo.

Il Machine Learning, in questo contesto, riveste un ruolo epocale: la capacità di poter apprendere dall’ingente mole di dati a disposizione trend o pattern che magari gli approcci tradizionali di decomposizione deterministica/non deterministica della domanda faticano ad intercettare, diventa cruciale. Inoltre, la scalabilità di questi modelli permette di gestire necessità di riordino intra-day senza particolari difficoltà. La fiducia da parte degli addetti alla pianificazione nei confronti di uno strumento in grado di performare meglio dell’esperienza umana sarà sicuramente ripagata.

Questo però non deve far pensare a un completo rimpiazzo delle tecniche statistiche tradizionali con quelle più sofisticate: una loro coesistenza è fondamentale per sviscerare tutte le informazioni contenute nei dati di storico, recenti o passati. Tutte le tecniche devono confrontarsi con i classici step di pulizia del dato e riconoscimento dei pattern, che siano questi modellizzati da regole di business specifiche o da regressori statistici avanzati.

La richiesta ormai è quella di ottenere una previsione al livello di dettaglio massimo (prodotto-negozio-giorno), capace di scalare, ove necessario, ai livelli gerarchici di aggregazione superiori, in modo da garantire la robustezza statistica. Per questo, i sistemi più moderni permettono l’escalation verso livelli di aggregazione dotati di dataset più nutriti, così da ottenere una previsione in linea di principio meno accurata, ma più solida. 

È importante però sottolineare quanto l’accuratezza della previsione non può e non deve essere investita del ruolo di indicatore principe della bontà di un forecast: nell’approccio integrato e2e, è importante che questo KPI vada sempre valutato assieme a indicatori che modellizzano la volatilità della domanda e i livelli di servizio richiesti per il dato prodotto-negozio. Tipicamente, le politiche di gestione dello stock e i vincoli logistici aiutano a scremare i casi per cui sia necessario avere un forecast altamente accurato.

Il Demand Forecasting, come si può intuire, assume in questo modo il ruolo di singolo tassello in un processo più strutturato.

 

 

 

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